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"L'inventore del cli-fi? #Ballard". Su @ilvenerdi #PaoloDiPaolo parla de #IlMondoSommerdo e dei romanzi che parlano dell'apocalisse climatica pic.twitter.com/fzyCmX77rf
"Chiamatele cli-fi. Climate fiction, appunto."
"Call them cli-fi. Climate fiction, indeed."
Translated from Italian by Microsoft
Feltrinelli Editore @feltrinellied Aug 22 2019
"L'inventore del cli-fi? #Ballard". Su @ilvenerdi #PaoloDiPaolo parla de #IlMondoSommerdo e dei romanzi che parlano dell'apocalisse climatica pic.twitter.com/fzyCmX77rf
Translated from Italian by Microsoft
HEADLINE:
''SULLA CARTA SIAMO TUTTI SPACCIATI''
subheadline: Città sommerse, paesaggi bruciati, montagne di rifiuti: sempre più romanzi raccontano l'apocalisse climatica. Ma pochi il qui e ora.
REPORTER: Paolo Di Paolo
Chiamatela cli-fi. Non si tratta di una rete senza fili, o forse si. E' l'etichetta buona per tenere insieme opere creative sulle conseguenze dei cambiamenti climatici. Climate fiction, appunto.
Il giornalista a cui si deve il conio si chiama Dan Bloom, ha aperto un blog per aggiornare il censimento e accetta segnalazioni, le pesca dappertutto.
Dal magazine di Oprah Winfrey cava "sette romanzi che affrontano in chiave provocatoria i cambiamenti climati" Colonie di farfalle disorientate dall'inquinamento, nazioni devastate da tempeste di sabbia, New York sommersa dall'acqua (Kim Stanley Robinson, New York 2140, Fanucci). Il vecchio J.G. Ballard l'aveva vista lunga: quasi sessant'anni fa, nelle pagine di 'Il mondo sommerso', aveva reso lagunari le grandi metropoli occidentali, tirando in ballo lo scioglimento delle calotte polari.
Argomento di per sé poco attraente, storia lenta e che - come spiega Jonathan Safran Foer, funziona poco. Fuori dalla distopia (nemmeno troppo distopica), i narratori in effetti arrancano. Un conto inventarsi un futuro prossimo, lavorando su scenari di apocalis se; un conto è mettersi a raccontare, dal vero, "migliaia di tonnellate di mercurio, cadmio e piombo, montagne di fertilizzanti e pesticidi" che devastano l'ambiente senza effetti da drammone hollywoodiano. Ne scriveva it tedesco W.G. Sebald a metà anni Novanta nel resoconto del suo viaggio solitario a piedi nel Suffolk, 'Gli anelli di Saturno'.
E poi? Poi, a intermittenza, più che mettere a fuoco letterariamente situazioni di rischio ambientale, gli scrittori sono inciampati nel paesaggio. Trovandolo ferito. Uno come Jonathan Franzen, birdwatcher professionale, nel romanzo 'Libertà', del 2010, mette in scena le ansie di un ambientalista "più verde dì Greenpeace e cresciuto in campagna".
"La difficoltà di far interagire ecosistemi sociali diversi", sintetizza Niccolò Scaffai, che nel recente 'Ecologia e letteratura. Forme e temi di una relazione narrativa' (Carocci) va in cerca di scrittori capaci di rappresentare «un paesaggio non soggettivo, uno spazio ecologico». C'è il DeLillo di 'Underworld', il cui protagonista percepisce tutto in termini di rifiuto, di scarto, di spazzatura. C'è il McCarthy post-apocalittico di 'La strada': il peggio che doveva accadere è accaduto, e due sopravvissuti - un padre e un figlio - compiono un interminabile percorso nel niente. Lo strazio è soprattutto ricordare com' era il mondo di prima.
Com'era bere una Coca-Cola, per esempio. Male o bene che facesse, allo stomaco e al pianeta. C'è Ian McEwan di 'Solar con il suo personaggio, Nobel fittizio, impegnato nel progetto di un avveniristico impianto a energia solare.
Infastidito, per paradosso, dall'eccessivo accaloramento non del pianeta Terra ma di chi si impegna pubblicamente in sua difesa: «Ecco che cosa non sopportava delle persone politicamente impegnate: che ingiustizie e catastrofi fossero il loro latte materno, la loro linfa vitale, la sorgente del loro piacere». Gli italiani, a ogni modo, restano indietro. Almeno negli scritti. Un drappello di cultori della natura (Rigoni Stern innamorato della montagna incontaminata) e di ecologisti ansiosi (il Calvino di Marcovaldo e delle Città invisibili, l'Ortese "animalista", il Volponi del Pianeta irritabile, dove una scimmia, un'oca, un elefante, un nano si muovono fra le ceneri di un'esplosione atomica) non ha generato figli e nipoti preoccupatissimi.
Fa eccezione Bruno Arpaia che in un romanzo come 'Qualcosa là fuori', racconta un gruppo di esseri umani impegnati a salvarsi in un'Europa stravolta dai mutamenti climatici. O Antonio Moresco che, nelle pagine infuocate di 'Il grido', letteralmente urla contro un'umanità addormentata — le prime generazioni in bilico su una possibile estinzione di specie. Dialoga, da lontano, con Leopardi e con Stephen Hawking, convoca ombre e viventi, e dolorosamente li invita a unire le loro voci contro la grande e tragica rimozione.
O La grande cecità, come la chiama l'indiano Amitav Ghosh, convinto che il cambiamento climatico «getti sul paesaggio della finzione letteraria un'ombra assai più ridotta di quella che getta sull'arena pubblica».
LINK:
https://en.wikipedia.org/wiki/The_Great_Derangement
Se certe forme letterarie sono incapaci di vedersela con flutti e tifoni presenti e futuri, sostiene amaro Ghosh, significa che hanno fallito. Un difetto di immaginazione? Forse anche di paura.
La parola la mette sul tavolo Frederik Sjoberg - scrittore, biologo, entomologo svedese - quando, nell'Arte della fuga prova anche a cacciarla via.
Il Museo di Storia Naturale di Stoccolma, anni fa, gli chiese di progettare una grande mostra sul clima. «Le mie proposte risultarono probabilmente irrealizzabili, forse anche stupide».
Intendeva piazzare al centro di una sala la copia fedele, a grandezza naturale, di un rinoceronte lanoso.
Con una piccolissima targa come unico commento: estinto diecimila anni fa a causa dei cambiamenti climatici.
TRANSLATION TO ENGLISH:
translation machine by Deepl.com
NOTA BENE: Thanks to Italian writer Leonardo Andrea Cardillo for finding this article in the Italian media and sending me the link by email. Thanks for French novelist Jean-Marc Ligny for telling me about the wonders of the free Deepl translation platform. And thanks for reporter Paolo Di Paolo in Rome for writing this very good article for @ilvenerdi in Italy.
HEADLINE: ''ON THE PRINTED PAGE, WITH NOVELS, WE ARE DOOMED!''
subheadline: Underwater cities, burnt landscapes, mountains of rubbish: more and more novels tell of the climatic apocalypse. But few here and now.
TEXT:
Call it cli-fi. It's not a wireless network, or maybe it is.
It's a good label to keep together creative works on the consequences of climate change.
Climate fiction, in fact.
The ''literary journalist'' to whom we owe the coinage of this new literary term is 70 year old Dan Bloom from Boston in America, who has started a blog to update the news and accepts reports, looking everywhere for news items about cli-fi.
From Oprah Winfrey's magazine "O", an article by American literary critic Amy Brady lists "seven novels that deal with climate change in a provocative way" including a future New York submerged by water (a cli-fi novel by Kim Stanley Robinson, ''New York 2140,'' published in Italy by Fanucci publishers).
LINK TO OPRAH MAGAZINE:
https://www.oprahmag.com/entertainment/books/a26811549/climate-change-books/
The British sci-fi writer J.G. Ballard had seen it coming for a long time: almost 60 years ago, in the pages of 'The Underwater World', he had made the great western metropolises lagoon, bringing into play the melting of the polar ice caps. A subject in itself unattractive, a slow story that - as Jonathan Safran Foer explains - works little.
Out of dystopia (not too dystopian), the storytellers are actually struggling. It is one thing to invent a near future, working on scenarios of apocalis se; it is another to tell, from life, "thousands of tons of mercury, cadmium and lead, mountains of fertilizers and pesticides" that devastate the environment without the effects of Hollywood drama.
It was written by the German W.G. Sebald in the mid-1990s in the account of his solitary journey on foot in Suffolk, 'The rings of Saturn'. And then what? Then, intermittently, rather than literally focusing on situations of environmental risk, writers stumbled upon the landscape. Finding him wounded.
One such as Jonathan Franzen, a professional birdwatcher, in his 2010 novel 'Liberty', stages the anxieties of an environmentalist "greener than Greenpeace and raised in the countryside".
"The difficulty of making different social ecosystems interact", summarizes Niccolò Scaffai, who in his recent 'Ecology and Literature. Forms and themes of a narrative relationship' (Carocci) goes in search of writers capable of representing "a non-subjective landscape, an ecological space".
There is the Don DeLillo of 'Underworld', whose protagonist perceives everything in terms of rejection, waste and rubbish.
There is the post-apocalyptic Cormac McCarthy of 'The Road': the worst that was supposed to happen happened, and two survivors - a father and a son - make an endless journey into nothingness. The heartbreak is above all remembering what the world used to be like. How it was to drink a Coca-Cola, for example. Bad or good that it did, to the stomach and to the planet.
There is Ian McEwan from 'Solar with his character, a fictitious Nobel prize-winner, involved in the project of a futuristic solar power plant. Paradoxically annoyed by the excessive heat not of the planet Earth but of those who publicly commit themselves to its defense: "That's what he could not stand about politically committed people: that injustices and catastrophes were their breast milk, their lifeblood, the source of their pleasure.
Italian novelists, in any case, are still lagging behind. At least in their writings. But there will be more to come. Patience.
A group of nature lovers (Rigoni Stern in love with the uncontaminated mountain) and anxious ecologists (Marcovaldo's Calvin and the Invisible Cities, the "animalist" Orthodox, the Foxes of the Irritable Planet, where a monkey, a goose, an elephant, a dwarf move among the ashes of an atomic explosion) did not generate children and grandchildren worried.
Bruno Arpaia is an exception: in a novel like 'Something, Out There', also translated now to Spanish, he tells the story of a group of human beings committed to saving themselves in a Europe devastated by climate change.
Or Antonio Moresco who, in the fiery pages of 'The Cry', literally screams at a sleeping humanity - the first generations hovering over a possible extinction of species. Dialoga, from afar, with Leopardi and Stephen Hawking, summons shadows and living, and painfully invites them to join their voices against the great and tragic removal.
The Great Derangement, as the Indian-American Amitav Ghosh calls it, convinced that climate change "casts a much smaller shadow on the landscape of literary fiction than it casts on the public arena".
If certain literary forms are unable to deal with present and future waves and typhoons, a bitter and depressed Ghosh says, it means they have failed. A defect of imagination? Maybe even fear.
LINK:
https://en.wikipedia.org/wiki/The_Great_Derangement
Frederik Sjoberg - Swedish writer, biologist, entomologist - puts the word on the table when, in "The Art of Escape,'' he also tries to drive it away.
LINK:
https://www.telegraph.co.uk/travel/books/book-reviews-on-trails-robert-moore-art-of-flight-sjoberg/
The Stockholm Museum of Natural History asked him some years ago to design a major climate exhibition.
"My proposals were probably unworkable, perhaps even stupid'', he said. He intended to place in the centre of a room the life-size faithful copy of a woolly rhinoceros.
With a very small sign as the only comment:
''Extinct 10,000 years ago due to climate change.''
Chiamatela cli-fi. Non si tratta di una rete senza fili, o forse si. E' l'etichetta buona per tenere insieme opere creative sulle conseguenze dei cambiamenti climatici. Climate fiction, appunto.
Il giornalista a cui si deve il conio si chiama Dan Bloom, ha aperto un blog per aggiornare il censimento e accetta segnalazioni, le pesca dappertutto.
Dal magazine di Oprah Winfrey cava "sette romanzi che affrontano in chiave provocatoria i cambiamenti climati" Colonie di farfalle disorientate dall'inquinamento, nazioni devastate da tempeste di sabbia, New York sommersa dall'acqua (Kim Stanley Robinson, New York 2140, Fanucci). Il vecchio J.G. Ballard l'aveva vista lunga: quasi sessant'anni fa, nelle pagine di 'Il mondo sommerso', aveva reso lagunari le grandi metropoli occidentali, tirando in ballo lo scioglimento delle calotte polari.
Argomento di per sé poco attraente, storia lenta e che - come spiega Jonathan Safran Foer, funziona poco. Fuori dalla distopia (nemmeno troppo distopica), i narratori in effetti arrancano. Un conto inventarsi un futuro prossimo, lavorando su scenari di apocalis se; un conto è mettersi a raccontare, dal vero, "migliaia di tonnellate di mercurio, cadmio e piombo, montagne di fertilizzanti e pesticidi" che devastano l'ambiente senza effetti da drammone hollywoodiano. Ne scriveva it tedesco W.G. Sebald a metà anni Novanta nel resoconto del suo viaggio solitario a piedi nel Suffolk, 'Gli anelli di Saturno'.
E poi? Poi, a intermittenza, più che mettere a fuoco letterariamente situazioni di rischio ambientale, gli scrittori sono inciampati nel paesaggio. Trovandolo ferito. Uno come Jonathan Franzen, birdwatcher professionale, nel romanzo 'Libertà', del 2010, mette in scena le ansie di un ambientalista "più verde dì Greenpeace e cresciuto in campagna".
"La difficoltà di far interagire ecosistemi sociali diversi", sintetizza Niccolò Scaffai, che nel recente 'Ecologia e letteratura. Forme e temi di una relazione narrativa' (Carocci) va in cerca di scrittori capaci di rappresentare «un paesaggio non soggettivo, uno spazio ecologico». C'è il DeLillo di 'Underworld', il cui protagonista percepisce tutto in termini di rifiuto, di scarto, di spazzatura. C'è il McCarthy post-apocalittico di 'La strada': il peggio che doveva accadere è accaduto, e due sopravvissuti - un padre e un figlio - compiono un interminabile percorso nel niente. Lo strazio è soprattutto ricordare com' era il mondo di prima.
Com'era bere una Coca-Cola, per esempio. Male o bene che facesse, allo stomaco e al pianeta. C'è Ian McEwan di 'Solar con il suo personaggio, Nobel fittizio, impegnato nel progetto di un avveniristico impianto a energia solare.
Infastidito, per paradosso, dall'eccessivo accaloramento non del pianeta Terra ma di chi si impegna pubblicamente in sua difesa: «Ecco che cosa non sopportava delle persone politicamente impegnate: che ingiustizie e catastrofi fossero il loro latte materno, la loro linfa vitale, la sorgente del loro piacere». Gli italiani, a ogni modo, restano indietro. Almeno negli scritti. Un drappello di cultori della natura (Rigoni Stern innamorato della montagna incontaminata) e di ecologisti ansiosi (il Calvino di Marcovaldo e delle Città invisibili, l'Ortese "animalista", il Volponi del Pianeta irritabile, dove una scimmia, un'oca, un elefante, un nano si muovono fra le ceneri di un'esplosione atomica) non ha generato figli e nipoti preoccupatissimi.
Fa eccezione Bruno Arpaia che in un romanzo come 'Qualcosa là fuori', racconta un gruppo di esseri umani impegnati a salvarsi in un'Europa stravolta dai mutamenti climatici. O Antonio Moresco che, nelle pagine infuocate di 'Il grido', letteralmente urla contro un'umanità addormentata — le prime generazioni in bilico su una possibile estinzione di specie. Dialoga, da lontano, con Leopardi e con Stephen Hawking, convoca ombre e viventi, e dolorosamente li invita a unire le loro voci contro la grande e tragica rimozione.
O La grande cecità, come la chiama l'indiano Amitav Ghosh, convinto che il cambiamento climatico «getti sul paesaggio della finzione letteraria un'ombra assai più ridotta di quella che getta sull'arena pubblica».
LINK:
https://en.wikipedia.org/wiki/The_Great_Derangement
Se certe forme letterarie sono incapaci di vedersela con flutti e tifoni presenti e futuri, sostiene amaro Ghosh, significa che hanno fallito. Un difetto di immaginazione? Forse anche di paura.
La parola la mette sul tavolo Frederik Sjoberg - scrittore, biologo, entomologo svedese - quando, nell'Arte della fuga prova anche a cacciarla via.
Il Museo di Storia Naturale di Stoccolma, anni fa, gli chiese di progettare una grande mostra sul clima. «Le mie proposte risultarono probabilmente irrealizzabili, forse anche stupide».
Intendeva piazzare al centro di una sala la copia fedele, a grandezza naturale, di un rinoceronte lanoso.
Con una piccolissima targa come unico commento: estinto diecimila anni fa a causa dei cambiamenti climatici.
TRANSLATION TO ENGLISH:
translation machine by Deepl.com
NOTA BENE: Thanks to Italian writer Leonardo Andrea Cardillo for finding this article in the Italian media and sending me the link by email. Thanks for French novelist Jean-Marc Ligny for telling me about the wonders of the free Deepl translation platform. And thanks for reporter Paolo Di Paolo in Rome for writing this very good article for @ilvenerdi in Italy.
HEADLINE: ''ON THE PRINTED PAGE, WITH NOVELS, WE ARE DOOMED!''
subheadline: Underwater cities, burnt landscapes, mountains of rubbish: more and more novels tell of the climatic apocalypse. But few here and now.
TEXT:
Call it cli-fi. It's not a wireless network, or maybe it is.
It's a good label to keep together creative works on the consequences of climate change.
Climate fiction, in fact.
The ''literary journalist'' to whom we owe the coinage of this new literary term is 70 year old Dan Bloom from Boston in America, who has started a blog to update the news and accepts reports, looking everywhere for news items about cli-fi.
From Oprah Winfrey's magazine "O", an article by American literary critic Amy Brady lists "seven novels that deal with climate change in a provocative way" including a future New York submerged by water (a cli-fi novel by Kim Stanley Robinson, ''New York 2140,'' published in Italy by Fanucci publishers).
LINK TO OPRAH MAGAZINE:
https://www.oprahmag.com/entertainment/books/a26811549/climate-change-books/
The British sci-fi writer J.G. Ballard had seen it coming for a long time: almost 60 years ago, in the pages of 'The Underwater World', he had made the great western metropolises lagoon, bringing into play the melting of the polar ice caps. A subject in itself unattractive, a slow story that - as Jonathan Safran Foer explains - works little.
Out of dystopia (not too dystopian), the storytellers are actually struggling. It is one thing to invent a near future, working on scenarios of apocalis se; it is another to tell, from life, "thousands of tons of mercury, cadmium and lead, mountains of fertilizers and pesticides" that devastate the environment without the effects of Hollywood drama.
It was written by the German W.G. Sebald in the mid-1990s in the account of his solitary journey on foot in Suffolk, 'The rings of Saturn'. And then what? Then, intermittently, rather than literally focusing on situations of environmental risk, writers stumbled upon the landscape. Finding him wounded.
One such as Jonathan Franzen, a professional birdwatcher, in his 2010 novel 'Liberty', stages the anxieties of an environmentalist "greener than Greenpeace and raised in the countryside".
"The difficulty of making different social ecosystems interact", summarizes Niccolò Scaffai, who in his recent 'Ecology and Literature. Forms and themes of a narrative relationship' (Carocci) goes in search of writers capable of representing "a non-subjective landscape, an ecological space".
There is the Don DeLillo of 'Underworld', whose protagonist perceives everything in terms of rejection, waste and rubbish.
There is the post-apocalyptic Cormac McCarthy of 'The Road': the worst that was supposed to happen happened, and two survivors - a father and a son - make an endless journey into nothingness. The heartbreak is above all remembering what the world used to be like. How it was to drink a Coca-Cola, for example. Bad or good that it did, to the stomach and to the planet.
There is Ian McEwan from 'Solar with his character, a fictitious Nobel prize-winner, involved in the project of a futuristic solar power plant. Paradoxically annoyed by the excessive heat not of the planet Earth but of those who publicly commit themselves to its defense: "That's what he could not stand about politically committed people: that injustices and catastrophes were their breast milk, their lifeblood, the source of their pleasure.
Italian novelists, in any case, are still lagging behind. At least in their writings. But there will be more to come. Patience.
A group of nature lovers (Rigoni Stern in love with the uncontaminated mountain) and anxious ecologists (Marcovaldo's Calvin and the Invisible Cities, the "animalist" Orthodox, the Foxes of the Irritable Planet, where a monkey, a goose, an elephant, a dwarf move among the ashes of an atomic explosion) did not generate children and grandchildren worried.
Bruno Arpaia is an exception: in a novel like 'Something, Out There', also translated now to Spanish, he tells the story of a group of human beings committed to saving themselves in a Europe devastated by climate change.
Or Antonio Moresco who, in the fiery pages of 'The Cry', literally screams at a sleeping humanity - the first generations hovering over a possible extinction of species. Dialoga, from afar, with Leopardi and Stephen Hawking, summons shadows and living, and painfully invites them to join their voices against the great and tragic removal.
The Great Derangement, as the Indian-American Amitav Ghosh calls it, convinced that climate change "casts a much smaller shadow on the landscape of literary fiction than it casts on the public arena".
If certain literary forms are unable to deal with present and future waves and typhoons, a bitter and depressed Ghosh says, it means they have failed. A defect of imagination? Maybe even fear.
LINK:
https://en.wikipedia.org/wiki/The_Great_Derangement
Frederik Sjoberg - Swedish writer, biologist, entomologist - puts the word on the table when, in "The Art of Escape,'' he also tries to drive it away.
LINK:
https://www.telegraph.co.uk/travel/books/book-reviews-on-trails-robert-moore-art-of-flight-sjoberg/
The Stockholm Museum of Natural History asked him some years ago to design a major climate exhibition.
"My proposals were probably unworkable, perhaps even stupid'', he said. He intended to place in the centre of a room the life-size faithful copy of a woolly rhinoceros.
With a very small sign as the only comment:
''Extinct 10,000 years ago due to climate change.''
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